Significato biologico del Rito
Questo giorno sarà per voi un memoriale[zikkaron];
lo celebrerete come festa del Signore:
di generazione in generazione lo celebrerete
come un rito perenne.
(Pentateuco - Esodo, 12,14)
INTRODUZIONE E INQUADRAMENTO DEL TERMINE
In tutte le civiltà, fin dall'alba dei tempi, sembrano essere esistiti dei riti, di cui gli antropologi hanno trovato tracce, oltre ad alcuni elementi rituali che risultano presenti in modo simile in tutte le civiltà pur diverse e lontane nel tempo e nello spazio. Vi sono numerosi testi che affrontano l'argomento e cercano di spiegare sia l'origine sia la necessità di costruire riti[1]. Nel presente lavoro si desidera affrontare l'argomento in modo diverso, cioè non in base all'antropologia, sociologia, etnologia, psicologia o religione[2], ma semplicemente dal punto di vista neurologico[3]. Per tale motivo si trascurerà la dimensione centrale del rito, legata al valore del "sacrificio"[4] (che solo in era cristiana venne superata in un concetto diverso, interiore[5]), e si valuterà solo come la partecipazione ai riti modifica la reattività biologica del soggetto.
Anche se si è sempre ritenuto che il bisogno umano di costruire riti fosse sociale e intellettuale (per placare l'angoscia che l'uomo prova davanti all'infinito e alla precarietà della vita che fa continuamente incombere la morte minacciando il suo essere "presenza" nel mondo)[6], gli studi più recenti di neurobiologia sembrano indicare che il cervello umano è strutturato per attivare complessi meccanismi di trascendenza attraverso i riti, per cui l'esistenza di rituali risponderebbe a un bisogno biologico intrinseco, come preparare buoni piatti culinari, distillare bevande di gusto gradevole o corteggiare. Affermare che il bisogno di riti è un bisogno biologico e non solo psicologico o sociale smantella le convinzioni sociologiche del secolo scorso che ritenevano i riti un fenomeno culturale. Costatare che l'uomo è biologicamente predisposto per fare esperienza di trascendenza mediante l'esecuzione di riti apre anche a domande diverse sul perché l'uomo abbia evolutivamente sviluppato la facoltà di sperimentare trascendenza, rendendo legittimo coltivare l'idea che esista una realtà trascendente con cui cercare di entrare in contatto.
Affrontando l'esame del significato dei riti in tutte le civiltà si può osservare la differenza di intento e di modalità tra i riti cerimoniali e i riti religiosi e infine tra i riti magici e quelli di culto. Nel presente lavoro si cercherà di cogliere la natura e lo scopo dei riti, confrontando poi tra loro la magia, la massoneria e il cristianesimo.
Il termine "rito" deriva dal latino "ritus" a sua volta derivante da una radice sanscrita che significa "andamento, usanza, disposizione"; c'è una radice copta RET che significa "modo" e la radice RI (ru) greca che significa scorrere (da cui rivo, per esempio) similmente alla parola "procedura" che deriva da procedere: indica le norme con cui far scorrere la cerimonia[7].
Il termine rito perciò non è propriamente religioso, ma indica azioni ripetitive codificate per dare solennità a ciò che viene fatto. Il rito si esprime in un insieme di atti rituali chiamato cerimonia.
Anche se normalmente le cerimonie sono espressione del sacro e quindi sono di carattere religioso, si hanno cerimonie e riti non religiosi all'interno della vita di corte o della vita civile e militare (cerimoniali di corte o dell'aristocrazia, cerimoniali militari, cerimonie civili): tuttavia anche l'ambito rituale legato alla figura del re, imperatore o regnante è nato in contesto religioso, in quanto il regnante è sempre stato visto come rappresentante della divinità sulla terra o nelle civiltà antiche come una sorta di divinità egli stesso, e anche i cerimoniali militari volevano rendere sacra l'azione militare accaparrandosi il favore della divinità, per cui si può dire che il rito è sempre legato al sacro e definisce una serie di azioni, di gesti, di parole, di canti ripetuti secondo norme codificate e tramandate fedelmente, atte a rendere presente il divino e sperimentabile l'invisibile.
Per entrare in contatto con la divinità l'uomo di tutti i tempi e di tutte le culture ha sentito la necessità di colmare la distanza tra la dimensione terrestre e quella celeste mediante l'offerta alla divinità di doni o la consumazione di sacrifici che purificassero l'umanità e la rendessero degna di accostarsi al dio[8].
Tuttavia nel rito e nel suo valore non c'è solo l'aspetto dell'offertorio o dell'espiazione, ed è di questi altri significati e valenze del rito che si vuole occuparsi nel presente lavoro. Di solito all'origine di ciascun rito c'è un mito o un simbolo che riassume una particolare valenza della realtà o un racconto accolto come manifestazione divina: questo racconto, che normalmente è recitato o cantato o letto all'interno del rito, costituisce il nucleo di senso da cui il rito prende avvio e che attraverso il rito viene rivissuto. La peculiarità del rito è di rendere presente e attuale ciò che racconta, per cui non si tratta di una memoria, ma di una esperienza rinnovata (memoriale). Come diceva Aristotele parlando dei Misteri Eleusini, attraverso il rito non si impara qualcosa, ma si fa esperienza di qualcosa e si agisce qualcosa che trasforma chi lo vive.
Il rito ha molteplici significati, approfonditi dagli studi antropologici[9]:
- educa a un certo comportamento e infonde una certa mentalità, facendo apprendere a chi vi partecipa una modalità di interazione con il nucleo di partenza del rito (mito o racconto);
- tramanda intatto di generazione in generazione il nucleo di senso del rito o il fatto che narra e gli permette di attraversare i secoli senza corrompersi;
- crea un'appartenenza aiutando i singoli ad uscire dalla dimensione 'individuale' per sperimentare una comunione particolare con tutti gli altri partecipanti al rito, fino a sviluppare una nuova identità collettiva;
- risolve i contrasti all'interno del gruppo, rafforzando la coesione e placando l'animosità intrinseca, costruendo il concetto di 'tribù' o di 'società' o di 'chiesa';
- gli antropologi dicono che il rito "crea il sacro", cioè rende sacro ciò di cui si occupa, e apre al sacro, ossia predispone i partecipanti a percepire il Mistero: attraverso il gruppo e l'apertura al Mistero si arriva a fare esperienza di trascendenza, si esce da se stessi e si entra in contatto con Qualcos'altro, l'Assoluto. In questo modo il rito, azione comunitaria, diventa anche azione che trasforma intimamente il singolo partecipante.
Attraverso il rito le persone investono di sacralità le tappe significative della loro esistenza: in tutte le culture per esempio vi sono riti che celebrano la nascita, l'ingresso nell'età adulta, il matrimonio, la morte, la dichiarazione di guerra e la vittoria o la pace e attraverso questi riti la persona sancisce la propria identità, afferma la propria volontà di appartenenza a una comunità e la realizza.
Il XIX e il XX secolo sono stati caratterizzati da letture antropologiche di tipo sociale, in cui si ritiene che gli individui vengano plasmati dalla società in cui vengono a trovarsi[10], per cui anche la religione o il rito sono giudicati elementi in grado di "plasmare" un certo tipo di mentalità negli individui che appartengono a un certo ambiente sociale, condizionandoli.
Ultimamente si sta assistendo a un massiccio tentativo di affrancamento da ogni 'società' con lo sviluppo di un individualismo talvolta trascendente che cerca la comunione con tutto il creato e con tutti gli esseri al di fuori di qualsiasi schema sociale, nella convinzione che sono gli individui che costruiscono e determinano la società e non viceversa: pertanto occorre formare i singoli individui senza finalizzarsi alla società, che si svilupperà bene di conseguenza.
Tra questi poli opposti che considerano la società come origine del comportamento degli individui o come elemento secondario, si colloca la visione suggerita dagli studi più avanzati di neurobiologia, che affermano che l'essere umano per svilupparsi pienamente ha bisogno di entrare in contatto con una realtà trascendente e ha bisogno di entrare in comunione con gli altri individui e lo fa attraverso i riti; inoltre ha bisogno di trovare il senso di ogni cosa: da tale visione si può dedurre che gli esseri umani posseggano intrinsecamente il bisogno di organizzarsi in società e che questa società dipenderà da come gli individui sapranno realizzarla collaborando tra loro e coltivando tutte le proprie componenti, compresa quella del sacro.
In breve, la suggestione della neurobiologia è che l'esperienza che l'uomo fa della realtà è di tipo "euristico" e non "intellettivo", cioè l'uomo percepisce di aver "scoperto" la verità e non la costruisce intellettivamente. La biologia naturalmente non può dare un giudizio di verità oggettiva sull'esistenza reale di una realtà invisibile trascendente, ma può affermare che il vissuto di chi la sperimenta è autentico, e simile in chiunque lo esperimenti, a qualsiasi epoca o cultura appartenga.
IL RITO: EFFETTI BIOLOGICI
Tutte le esperienze di trascendenza che sono state indagate scientificamente[11] mostrano alcune caratteristiche comuni, la prima è quella di essere indotte da stimoli ripetitivi e liberatori, la seconda è di essere caratterizzate da un esordio di intensa emotività.
Questi stimoli ripetitivi possono essere ritrovati all'interno dei riti.
Il rito "comunica" qualcosa a chiunque vi partecipi, è un linguaggio non verbale e non cognitivo che trasmette un messaggio che viene recepito profondamente, "resettando" (se si passa il termine informatico) la comunicazione con il mondo.
Dal punto di vista neurologico i due fattori importanti nel rito sono il ritmo e le stimolazioni sensoriali. Le stimolazioni sensoriali sono luminose, olfattive (incensi) e acustiche (musica, nenia).
Il valore della musica è stato indagato a fondo nelle sue valenze di induzione di stato alterato di coscienza[12]: le variazioni di ritmo hanno un impatto positivo sulla mente modulando la risposta del sistema neurovegetativo e si è visto che ciascuno ha una reazione che definisce positiva ascoltando una musica, ma nei vari individui la musica adatta può essere diversa, perciò c'è una certa soggettività di risposta ai ritmi proposti. Inoltre i vari tipi di musica e di ritmo hanno effetti biologici diversi[13].
Il suono ritmato eccita il lobo limbico e il sistema neurovegetativo e queste stimolazioni possono modificare profondamente il processo cerebrale di pensare, di recepire e decodificare la realtà, fino a infondere una sensazione di "uscire da se stessi" e un senso di comunione con gli altri che l'ascoltano insieme. Nei rituali di gruppo la musica ritmica ha una forte valenza sensoriale per indurre questo stato che è all'inizio di eccitazione e poi di rilassamento. Se la musica è prolungata e il ritmo è coinvolgente e si associa a movimenti di danza o di oscillazione del corpo, si possono avere i due sistemi neurovegetativi che si attivano insieme, innescando stati alterati di coscienza descritti come molto appaganti e come 'rapimento', oppure caratterizzati -a seconda dei ritmi e delle frequenze utilizzate - da stati di disinibizione comportamentale e riduzione del senso critico[14].
Le oscillazioni ripetute del corpo e i volteggi (come nella danza sufica dei dervisci) alla lunga stressano l'apparato vestibolare (deputato al controllo dell'equilibrio) oltre le possibilità di compensazione per cui subentra anche uno stato di vertigine labirintica che contribuisce a dare la sensazione di staccarsi dalla realtà perdendo la cognizione di orientamento spaziale[15].
Tutti i rituali sembrano avere due effetti comuni:
- alterano o annullano la percezione sensoriale di sé e dello spazio
- creano una fusione collettiva tra i partecipanti al rito
Queste modificazioni creano uno stato positivo in cui si perdono i confini di sé e ci si sente vicini a Dio o agli altri in modo nuovo, cioè inducono un senso di trascendenza. Con un termine improprio si potrebbe dire che il rito fa diventare la folla un sincizio[16], ossia una cosa sola, una coscienza sola e questo slega dai confini individuali dando senso di libertà e nello stesso tempo di forte appartenenza. In questo meccanismo risiederebbe il potere sociologico del rito di dare coesione a un gruppo, sedandone l'aggressività e incrementandone la solidarietà[17].
I riti hanno due ordini di senso:
I) un senso biologico che deriva dall'impatto della modalità di svolgimento del rito sulla reattività cerebrale. In questo senso un rito è efficace se riesce ad indurre l'effetto voluto, che sembra essere il trascendimento di sé. Questo avviene mediante eccitazione del lobo limbico e del sistema neurovegetativo, che possono arrivare ad indurre una perdita della percezione di sé (trascendimento di sé) e la percezione di una forte comunione con gli altri partecipanti al rito (si vive la sensazione come se ci fosse una sorta di trasfusione di emozioni e sensazioni da un soggetto agli altri);
II) un senso cognitivo superiore e culturale che deriva dal significato del rito; trae origine dalla storia che ha originato il rito e dalla valenza simbolica attribuita al rito (all'interno dei riti c'è sempre il richiamo a questa storia originaria attraverso letture, proclamazioni di intenzione, invocazioni, canti, messinscene, eccetera). Questa componente cognitiva superiore o culturale lega il rito ad un contesto e riduce la possibilità di accesso immediato a chiunque voglia assistervi, ma potenzia gli effetti indotti dagli stimoli sensoriali ripetitivi. Sembra anzi che il rituale abbia il massimo dell'effetto quando si uniscono ritmo e significato, cioè comportamento e idee.
Sono stati documentati svariati effetti positivi sulla salute dalla regolare attività di trascendenza indotta dalla meditazione, dalla preghiera o dalla partecipazione attiva e compresa ai riti religiosi[18]. Tutti gli effetti benefici riportati (a livello metabolico, cardiovascolare, ormonale e immunitario) sono riconducibili a un rimodellamento positivo delle attività del sistema nervoso autonomo. Si è visto tuttavia che una attivazione del sistema neurovegetativo, pur indispensabile per innescare il senso di trascendenza, non è sufficiente da sola. Infatti stimolando chimicamente il sistema neurovegetativo non si ottiene una attivazione emotiva come durante i riti[19]. Perciò l'eccitazione del sistema neurovegetativo non è la causa della profonda emozione che conduce allo stato di trascendenza: sembra che per l'attivazione dei circuiti emotivi sia indispensabile il contesto di senso. Questo si è visto anche indagando le tecniche meditative orientali: si è visto che riuscivano a fare esperienza di trascendenza più facilmente i soggetti che utilizzavano un mantra personale carico di significato (il mantra può essere un suono senza senso oppure una parola)[20].
In definitiva, il cervello reagisce sempre in modo simile di fronte a degli stimoli, e mediante le stesse strutture sottocorticali e corticali, ma alcuni stimoli appropriati possono sincronizzare in modo diverso l'attività cerebrale, ottenendo differenti risultati.
Il rituale stimola l'amigdala[21] (che funge da sentinella e si attiva di fronte a uno stimolo emotivamente significativo), attiva il sistema neurovegetativo e verosimilmente l'ipotalamo, come si può arguire dalle variazioni di attività del sistema nervoso autonomo e dalle oscillazioni di increzione di vari ormoni controllati dall'ipotalamo che sono stati registrati durante pratiche di meditazione[22]. Se la stimolazione è forte (come nei ritmi veloci che sovraeccitano l'ortosimpatico), viene coinvolto l'ippocampo che deve cercare di mantenere l'equilibrio calibrando gli input neurali alle varie aree: per calmare la sovraeccitazione vengono bloccati i flussi neurali in entrata che dovrebbero informare costantemente l'area associativa parietotemporale deputata all'orientamento spaziale e alla percezione di sé. Questa deafferentazione temporanea (interruzione del flusso neurale) produce una minore definizione di sè e dell'ambiente (perché in mancanza di dati aggiornati, l'area deve operare solo con i dati ricevuti in precedenza). Probabilmente questa improvvisa vaghezza nella definizione dei propri confini spaziali (associata all'eccitazione simpatica ed emotiva) contribuisce a creare il peculiare senso di unione con una realtà più vasta.
Se i ritmi invece sono lenti e prolungati (come le Messe solenni o la preghiera contemplativa) si attiva il parasimpatico che quando raggiunge la massima stimolazione (che è inibitoria) attiva direttamente l'azione inibitoria dell'ippocampo con conseguente deafferentazione funzionale dell'area parietotemporale dell'orientamento spaziale e della definizione dei propri confini nello spazio: si ottiene la perdita della percezione di sé con conseguente apertura a stati di 'unione mistica'.
Anche gli stimoli olfattivi derivanti dall'aspirare incenso[23] o profumi rituali, l'iperventilazione, il digiuno rituale, le stimolazioni visive e uditive reiterative della danza e dei canti attivano aree associative corticali inducendo uno stato descritto come di ineffabile piacere e alterano lo stato di coscienza[24].
Sembra che lo stimolo che attrae l'amigdala sia costituito dai movimenti oscillatori ripetuti del rituale (inchini, genuflessioni, prosternazioni, oscillazioni delle braccia, eccetera): questi movimenti eccitano l'amigdala che provoca reazioni di timore (reverenza), paura o eccitazione. Il senso di reverenza sembra esaltato dall'olfatto (che stimola l'amigdala, il cui nucleo riceve stimoli dal sistema olfattivo)[25].
Un rito che associ il potere degli odori (incenso, aromi), delle luci soffuse, dei movimenti ripetitivi (come le oscillazioni del turibolo dell'incenso), della musica ritmata (come il canto gregoriano cattolico), degli inchini per ricevere l'incenso e della cadenza litanica ripetitiva della preghiera, e infine che sia di alto contenuto simbolico e culturale: questo è un rito con altissimo potere di induzione di un senso di trascendenza.
Sembra dunque che il rito, come il mito, trasformi una credenza o una idea significativa in una esperienza viscerale che esalta la sacralità di ciò che celebra. L'antropologo Roy Rappaport afferma che "il rito non identifica ciò che è sacro: il rito crea il sacro"[26]. Nel rito una storia sacra diventa una esperienza sacra e ciò in cui si crede diventa qualcosa che si può sentire.
La componente emotiva serve per rendere certi di ciò che si sa, per sancire ciò che si è appreso: "sì, è vero perché l'ho sperimentato".
IL SENSO DEL RITO
Al centro del rito si trova il racconto che è all'origine del rito, che possiamo chiamare mito (non nel senso che è irreale, ma nel senso che parla di un evento lontano nel tempo che viene rivissuto immaginandolo in un contesto che non è esattamente quello storico in cui l'evento è accaduto; pensiamo per esempio alle ambientazioni del presepe natalizio, con Gesù Bambino sotto la neve in campagne locali o sotto una palma in un tucul: non si dà importanza alla ricostruzione filologica dell'evento, ma alla rappresentazione attualizzata che permetta a chi partecipa al rito di riviverlo: durante le liturgie invece si ha una riattualizzazione dell'evento celebrato attraverso una rappresentazione simbolica uguale in ogni luogo, perché comunque il simbolo ha bisogno di essere decodificato e inserito nel suo contesto di senso).
Il mito parte da una illuminazione ('esperienza di verità') di chi lo ha vissuto e lo racconta e a sua volta illumina chi lo ascolta, cioè ha in se stesso un potere suggestivo tale da permettere a chi lo ascolta di fare a sua volta 'esperienza di verità', seppure in grado minore. Attraverso l'elaborazione di riti, si dà la possibilità a chi vi partecipa di rivivere la stessa 'esperienza di verità' di chi ha vissuto l'origine del mito o dell'evento sacro al centro del rito stesso: in questo senso il rito è un memoriale, diventa "esperienza" in chi lo vive; e in questo senso l'esperienza di verità è 'euristica' e non 'cognitiva'[27]: l'uomo fa l'esperienza di scoprire la Verità, non la elabora cognitivamente, non la apprende con l'intelletto, ma la incontra, la scopre, la sente 'storica' nella sua personale storia.
Alcuni riti non intendono celebrare eventi del passato e della mitologia, ma solo dare solennità a situazioni particolari o eventi astrologici (solstizi ed equinozi, stagioni, eccetera), oppure investire di autorità e importanza alcune figure, come i comandanti, i regnanti o i notabili di una società.
La maggior parte dei riti sono religiosi, ma non sempre[28]: si pensi ai riti sportivi, civili e militari, ai cerimoniali di corte, eccetera.[29] Per esempio il più famoso "Libro dei Riti" è quello cinese di Confucio[30], che raccoglie anche i cerimoniali di corte e dell'aristocrazia per le più varie occasioni. Tutti sembrano dover svolgere il compito di esaltare la sacralità di un concetto o di una situazione e indurre un particolare stato di attenzione mediante la solennità, aiutando chi partecipa al rito a "sintonizzarsi" con un certo contenuto o fase del tempo.
PERCHE' L'UOMO CREA I RITI?
Cercando nella biologia la risposta alla domanda sul perché l'essere umano produca liturgie e riti, si può trovarla, secondo Newberg[31], nella struttura evolutiva del cervello legata al movimento.
Tutti i movimenti vengono ideati a livello dell'area pre-motoria, dove vengono pensati e organizzati i movimenti che poi l'area motoria eseguirà. Dall'area premotoria (che condividiamo coi primati e gli organismi filogeneticamente inferiori) si è evoluta l'area dell'attenzione, a livello prefrontale. Quest'area ha varie azioni importanti, prevalentemente di tipo inibitorio, per dare tempo ai dati osservati di essere valutati, mediati con la componente emotiva e organizzati volitivamente. Rimane un collegamento dell'area dell'attenzione con l'area premotoria e con quella motoria e da questo deriva la possibilità che l'area dell'attenzione inneschi il movimento. Per non correre il rischio che tutti i pensieri si trasformino in azioni, l'area dell'attenzione è inibita dal lobo frontale, che filtra e decide cosa mettere in opera e cosa no. Si sa per esperienza lesionale, che chi ha particolari lesioni del lobo frontale si sente compulsivamente costretto a fare qualsiasi cosa senta, o veda[32]. Questo bisogno di avere controlli inibitori per impedire che il cervello metta in opera tutti i pensieri fa intuire che nel cervello umano ci sia questa attitudine a trasformare i pensieri in azioni[33].
L'esperienza insegna che prima di compiere gesti di particolare impegno ci se li immagina (si pensi a un atleta prima della gara, a un pianista prima del concerto, un chirurgo prima di un intervento): si dice che per prepararsi all'evento si "entra" nella situazione, ci se ne impadronisce e si pianifica l'azione immaginandola[34]. Questa attivazione cerebrale mentre si pensa ad un movimento è stata documentata da indagini condotte con tecniche di risonanza magnetica nucleare funzionale[35] in cui si è visto che far immaginare di muoversi attivava l'area prefrontale dell'attenzione e l'area motoria, come durante il reale movimento[36].
Si è visto anche, con valutazioni elettroencefalografiche, che si hanno pattern[37] peculiari nella fase in cui ci si prepara a rispondere a stimolazioni esterne, con variazioni di frequenza e di pattern di attivazione soprattutto a livello frontale e occipitale: a livello frontale si ha la pianificazione della reazione allo stimolo, a livello occipitale il blocco o il controllo della risposta[38]. Inoltre si è visto, studiando dei praticanti di jumping, che far immaginare il movimento a chi era novello della pratica attivava soprattutto le aree visive cioè la corteccia occipitale superiore, mentre chi era esperto e praticante abituale attivava l'area motoria, cioè la corteccia premotoria e il cervelletto; l'immaginare i movimenti riduceva -inaspettatamente- l'attività a livello della corteccia parietale[39]. Questi risultati documentano dunque una differenza neurale se chi immagina il movimento è esperto nel compierlo oppure no: chi lo effettuerebbe con perizia, anche immaginandolo attiva le aree del movimento forse perché ha ben chiaro quali movimenti esatti occorrerebbe effettuare, mentre chi non saprebbe come muoversi esattamente attiva un pattern più "esteriore" attivando le aree visive, come se guardasse il movimento da compiere senza compierlo[40]; la riduzione di attività della corteccia parietale dopo l'addestramento conferma la dimostrazione già avuta in altri tipi di sperimentazione che l'attività neurale si riduce come funzione della presentazione ripetuta di uno stimolo e dell'esecuzione abituale del compito, diventando nel tempo in un certo modo "automatica" e non più frutto di pianificazione volontaria dei movimenti[41].
Tutto questo discorso vuole sottolineare l'importanza del "vivere interiormente" dei movimenti e di ripetere una sequenza di azioni per plasmare la reattività cerebrale e renderla adatta a vivere determinate situazioni.
Il rituale avrebbe un po' questo compito di farci trasformare in azioni ciò che i riti rappresentano, facendoci "entrare" nella realtà che essi raccontano. Si è visto che un rito è molto più efficace per un adepto che per un curioso. Se chi assiste a una cerimonia religiosa è profondamente credente e abituato a fare esperienza di trascendenza, mediante quel rito trarrà maggiore vantaggio dal rito e avrà più probabilità di entrare in uno stato di trascendenza[42].
Perché il rito sia efficace servono entrambe queste componenti:
1. un significato adeguato e condiviso da chi partecipa al rito
2. la capacità del rito di sollecitare i circuiti neurali della trascendenza (forma e svolgimento del rito efficaci).
Se i ritmi del rituale non sono in grado di indurre la risposta utile del sistema neurovegetativo e della sfera emozionale, il rituale perde efficacia e non otterrà nulla (neurologicamente parlando); se i simboli e i segni del rito non sono in grado di comunicare un senso a chi partecipa perché culturalmente distanti o logori non si avrà rilevanza spirituale del rito.
Quando si parla a livello neurologico di "trascendenza" non si parla di "misticismo" come comunemente lo si intende, cioè non si parla di particolari eventi interiori quali si leggono nelle biografie dei mistici o dei saggi, bensì si designa una modalità di esperienza, la cui causa può essere varia. Ciò che si intende è la capacità di trascendimento di sé, ossia uno stato di benessere profondo e appagante che deriva dalla perdita dei confini di sé, dall'allentamento o la perdita delle relazioni spaziali con l'ambiente e dalla percezione di una comunione con "altro da sé" (Dio, l'Assoluto, il cosmo, il partner sessuale; questo non significa che queste esperienze siano cognitivamente equivalenti tra loro, lo sono solo dal punto di vista neurale). I valori culturali o religiosi e le intime aspirazioni di chi pratica i cammini della trascendenza danno connotati cognitivi differenti a questa esperienza, ma dal punto di vista neurologico l'esperienza è sempre la medesima: deafferentazione dell'area parietotemporale dell'orientamento, attivazione del sistema limbico sottocorticale e poi coinvolgimento delle aree corticali.
Si è constatato che tutti gli stati di trascendenza, dai più moderati a quelli più in apparenza eccezionali, sono innescati dagli effetti sensoriali del comportamento ripetitivo: si tratta di una attività fisica iniziale che va dai sensi alla corteccia. Il grado di stato di trascendenza (o 'uscita da sé') dipende dall'intensità e dalla durata della pratica fisica (rituale). In pratica è la riserva di energia del praticante che determina l'intensità dell'ascesi e il rito da solo non può condurre al vertice dell'ascesi (cioè all'estasi) perché i limiti dell'organismo (stanchezza ed esaurimento) lo impediscono.
Meccanismi cerebrali simili possono essere innescati, al contrario, a partire dai centri superiori corticali e 'scendere' a livello sensoriale quando il processo ascetico è innescato dal pensiero. Poiché la mente non si stanca come il fisico, si può arrivare (con la pratica) a far persistere il pensiero per un tempo illimitato, superando l'esperienza di trascendenza e arrivando al suo estremo, cioè all'estasi o alla contemplazione profonda con totale assorbimento fisico.
RITI E SALUTE
Dal punto di vista medico ha senso chiedersi se la partecipazione a riti religiosi e lo sviluppo della dimensione di trascendenza abbia un impatto positivo sulla salute. Infatti gli studi di neurobiologia non possono essere sufficienti a raccomandare lo sviluppo di una dimensione religiosa.
Negli ultimi anni sono stati condotti vari studi su questo argomento[43], sia misurando le variazioni elettroencefalografiche o le modificazioni cerebrali mediante risonanza magnetica funzionale in soggetti che si stavano applicando nella preghiera o nella meditazione, sia allestendo indagini conoscitive mediante questionari somministrati a persone praticanti o non praticanti riti religiosi.
Per esempio in uno studio diciotto membri di una comunità montana sono stati intervistati riguardo le loro esperienze religiose in relazione allo stato di salute. L'esperienza religiosa è stata concepita dagli intervistati come un processo perdurante nel tempo caratterizzato da una iniziazione, una consuetudine, una maturazione e uno sviluppo che integra vari elementi dell'esperienza religiosa. Gli elementi principali sono risultati: sensibilità sensitivo-motoria, interazione con una realtà sovrannaturale, interazione con gli altri membri della famiglia, convinzione che ciò che si sperimenta è reale, conoscenza, tensione dinamica e intensità emotiva. Valutando poi l'impatto della pratica religiosa nella vita quotidiana per quanto riguarda riduzione della tensione, empatia, interiorità, senso di timore, risposte neurovegetative e appagamento, si è visto che l'attività spirituale è collegata con molti di questi fattori e che può risultare benefica.[44]
Similmente altri studi hanno confermato che la pratica religiosa regolare può portare benefici alla salute sia riducendo l'ansia che fornendo elementi motivazionali essenziali per superare le vicissitudini della vita[45].
SIGNIFICATO BIOLOGICO DEL RITO: RIEPILOGO E COMMENTO PERSONALE
Cercando di riassumere in parole semplici quanto appena esaminato in dettaglio a livello neurobiologico, si può dire che la neurobiologia, studiando il funzionamento normale del cervello, cerca di comprendere la ragione biologica dei comportamenti umani: in questo modo ha scoperto che l'uomo è strutturato a livello biologico per sperimentare la trascendenza anche attraverso la partecipazione ai riti. Questo significa che i riti fanno parte di un bisogno comportamentale biologico dell'uomo, come mangiare, dormire o fare sesso, e che per avere pieno sviluppo delle proprie potenzialità biologiche l'uomo ha bisogno di sviluppare correttamente una dimensione sociale e sacra anche attraverso i riti.
Questo concetto costringe a rivedere le teorie antropologiche e sociologiche elaborate nei secoli scorsi che concepivano i rituali solo come un'elaborazione sociale o un bisogno psicologico per moderare l'ansia che deriva dalla precarietà dell'esistenza, facendo perciò ritenere che possano essere aboliti se mutano i contesti sociali o psicologici in cui il soggetto si trova a vivere o al progredire dell'evoluzione (che viene vista come progredire delle conoscenze): sembra proprio che non sia così e la dimensione spirituale non possa essere soppressa senza conseguenze negative sullo stato di benessere e di appagamento generale dell'individuo umano.
Si ritrovano forme rudimentali di ritualità anche negli animali inferiori (riti dell'accoppiamento o del corteggiamento), a conferma che si tratta di una manifestazione biologica e non culturale[46].
Tra tutti gli animali, solo nell'uomo si assiste all'elaborazione di rituali volti a sperimentare la trascendenza, tanto che si può affermare che la dimensione peculiare dell'uomo è quella del sacro, dimensione dalla quale l'essere umano sembra poter attingere risorse di motivazione, di speranza e di fiducia non altrimenti evocabili.
La neurobiologia spiega che durante l'esperienza di trascendenza il cervello "stacca la spina" dalla vigilanza ordinaria e resetta le sue attività con l'ottenimento di un maggior controllo emotivo e sugli eventi esterni, aumento della capacità di concentrazione e senso di "chiarezza di compimento di mente" o lucidità o facilità di compiere azioni complesse, rispetto ai soggetti che non sanno vivere momenti di trascendenza[47].
Tuttavia questa esperienza di trascendenza, così salutare, non è raggiungibile facilmente perché occorre (come dice la parola stessa) oltrepassare se stessi e "uscire da se stessi", cioè emozionarsi nel modo giusto, superare la sfera emotiva e raggiungere uno stato non-emotivo; contemporaneamente penetrare un significato profondo, superare il livello cognitivo e raggiungere uno stato non cognitivo; contemporaneamente essere molto presenti a se stessi, superare il livello di autocoscienza e raggiungere uno stato di non-coscienza....questo può essere fatto con lunghi allenamenti di meditazione oppure può essere raggiunto attraverso la partecipazione compresa e abituale ai riti: il rito avrebbe lo scopo di attivare e inattivare particolari circuiti cerebrali secondo una sequenza adatta a far fare esperienza di trascendenza.
Chi partecipa devotamente ai riti di solito percepisce una prima fase di "emozione" con commozione o trasporto piacevole emotivo, poi mano a mano che si lascia coinvolgere dal rito perde cognizione del tempo e dello spazio (tanto da non soffrire per la lunghezza del rito o per il fatto di assistere in piedi o accalcato tra la gente) e vive un'esperienza che poi fa fatica a condividere con altri ma che diventa significativa, aiutandolo a comprendere in modo nuovo il nucleo di verità che è all'origine del rito e facendogli sperimentare una "appartenenza" che si esprime in una direzione individuale (sente che il nucleo di verità che è all'origine del rito appartiene al suo vissuto personale) e in una direzione sociale (sperimenta una grande solidarietà con chi assiste al rito insieme a lui o condivida il suo nucleo di credenza anche se non presente al rito in quel momento): il movimento complessivo che si mette in moto è di apertura e di interiorizzazione, è un mettere in moto per fare qualcosa, è una trasformazione.
Il rito quindi permette di fare esperienza mediante un "sentire"che induce a un "agire" e questa esperienza cambia chi partecipa, lo trasforma perché ne modifica la coscienza su di sé e sulla realtà in generale, dandogli una responsabilità e un ruolo peculiare all'interno della realtà.
IL RITO DI INIZIAZIONE
Una forma particolare di rito, presente in tutti i cammini spirituali e nelle civiltà di tutti i tempi, è quella del rito di iniziazione, o mistero, che è un rito particolare che si compie una sola volta perché induce un cambiamento di stato o di natura in chi lo compie[48].
Dal punto di vista del nucleo di senso, in tutti i misteri sembra esserci una storia di morte/resurrezione (la storia di Persefone nei riti eleusini, la morte/resurrezione dell'architetto del Tempio nella massoneria, la Morte/ Resurrezione di Cristo nella liturgia cristiana)[49]. Tale simbologia sembra riassumere il percorso di chi si avvicina alla trascendenza e si prepara a partecipare per la prima volta ai riti che lo condurranno "nel Mistero", cioè si prepara all'iniziazione. Colui che si prepara all'iniziazione affronta un viaggio in simboli da decifrare, prove anche fisiche da superare (isolamento, digiuni, tenebra, incatenamenti, terrori, meditazioni, lotte, tentazioni: hanno lo scopo di indurre un nuovo e permanente orientamento della volontà e stato di coscienza), distacco dalla famiglia o vita precedente (considerato come una "morte" in vista della "resurrezione" alla vita illuminata dalla conoscenza della Verità che si ottiene con l'iniziazione): attraverso tutte queste cose, come spiega Eliade, si vive o si esplicita la morte al mondo profano per rinascere al mondo sacro. Chi viene iniziato partecipa al "significato e Ordine segreto delle cose" e dopo aver ricevuto l'iniziazione (o il grado di Grazia divina) sarà una persona diversa da prima, più vigilante, più responsabile e attiva all'interno della comunità, una persona "matura" o "adulta" o "consapevole" o "risvegliata" (si ritrovano molti termini nelle varie tradizioni, tutti però col medesimo significato di trasformazione nella consapevolezza), ma soprattutto una persona capace di entrare in contatto col "sacro" e certa che la sua vita personale fa parte di una "storia sacra"[50]. L'iniziazione produce una illuminazione permanente, ossia può essere rinnegata, ma non può più essere annullata o cancellata: trasforma l'iniziato in una persona nuova, modifica permanentemente la sua attitudine mentale di comprensione delle cose e di orientamento esistenziale. La trasformazione non investe il candidato all'improvviso, tutto l'organismo viene plasmato, "resettato", predisposto attraverso l'intensa (e in talune culture traumatica[51]) preparazione al rito iniziatico: si ha un'attivazione dell'asse dello stress con iperattivazione del sistema nervoso autonomo e del sistema limbico e innesco dell'esperienza di trascendenza come già descritto; inoltre c'è una meditazione sui simboli e una preparazione delle aree cerebrali associative, semantiche e logiche ad assimilare il contenuto dell'iniziazione, che di solito rappresenta il senso del mondo e della vita racchiuso nelle credenze trasmesse attraverso il rito[52]. La preparazione all'iniziazione di un individuo coinvolge anche tutti gli individui già iniziati, rinsaldando il legame tra tutti gli individui appartenenti alla comunità e rinfocolando il nucleo di senso della credenza (mito), per cui il rito di iniziazione diventa di conferma o di rinnovamento per tutta la comunità (o tribù o setta). Come dice Eliade, la presenza di riti di iniziazione nelle società arcaiche "ci rivela la serietà con cui l'uomo delle società arcaiche si assumeva la responsabilità di ricevere e di trasmettere i valori spirituali".[53]
Gli antropologi hanno sempre letto nella "fabbricazione" dei riti la "fabbricazione" di un nucleo sociale solido e compatto e quindi un esercizio di potere attraverso il rito[54] (il potere delle caste sacerdotali e delle classi politiche): questa chiave di lettura ha condotto nell'arco del XX secolo all'affrancamento dai riti come esercizio di libertà e autonomia dalle gerarchie "fabbricanti di riti".
Ma in realtà i riti sono una grossa opportunità biologica di esprimere la valenza più squisitamente umana, cioè la facoltà di trascendenza e di sviluppare uno dei più profondi bisogni dell'uomo, che è quello di appartenere assieme agli altri uomini a qualcosa di più grande della propria singola storia: l'uomo ha bisogno di vivere destini, non solo biografie.
Se il partecipare a riti risulta essere una caratteristica biologica del comportamento umano e la capacità di fare esperienza di trascendenza è la proprietà più peculiarmente umana, si può dedurne che l'uomo non può essere pienamente uomo se si impedisce o rinuncia a vivere questa dimensione "verticale" di trascendenza all'interno della quale cercare o trovare un nucleo di senso che giustifichi l'esistenza stessa e la orienti verso un compimento sensato. Per come è strutturato biologicamente l'uomo, il rito sembra una modalità irrinunciabile di educazione comportamentale.
La perdita del valore dei riti nella società non è un fenomeno solo religioso, ma anche sociale. Comincia ad emergere da più parti la segnalazione allarmante della disgregazione della società e della perdita sociale dei ruoli legata alla perdita della dimensione rituale, per esempio quella di trasmissione della tradizione di padre in figlio.[55]
Attraverso il rito di generazione in generazione è sempre stato tramandato il nucleo di senso dell'esistenza, che appare sostanzialmente simile in tutte le epoche e in tutte le culture.
Il significato dell'esistenza è normalmente reperito attraverso esperienze di trascendenza e tutti i soggetti che fanno esperienza di averlo trovato sintetizzano questo senso in alcuni punti comuni[56]:
- nessuno vive solo per se stesso, né può trovare il senso della propria vita solo in se stesso né essere felice da solo (siamo animali intrinsecamente sociali orientati alla solidarietà);
- ciascun essere umano è in qualche modo collegato con tutti gli altri esseri umani sia contemporanei che del passato o del futuro e sia vicini nello spazio che lontani geograficamente, in una sorta di "rete" o di "intreccio" o di "comunione" che rende tutti gli uomini solidali tra loro nel bene e nel male;
- esiste un'origine della vita e tutte le cose hanno un senso: sembra esserci un "disegno" universale e tutte le cose concorrono a realizzarlo;
- "l'anima" dell'universo è l'Amore, cioè ciò che è percepito come origine della vita e senso della vita è positivo, armonico e buono: l'uomo si inserisce liberamente in questa costruzione a sempre maggiore complessità di bontà e armonia e concorre a realizzarla;
- l'uomo è libero e può concorrere alla realizzazione dell'armonia universale oppure opporvisi a seconda delle scelte che fa;
- per riuscire a entrare in sintonia con le forze universali che regolano la vita l'uomo deve riuscire a 'rientrare in se stesso' e a 'uscire da se stesso', superando i condizionamenti delle contingenze e incontrandosi con l'Amore universale;
- per riuscire a fare esperienza di trascendenza l'uomo deve sapersi emozionare, ma poi deve superare l'emozione e 'andare oltre', perciò non deve essere un emozionarsi egocentrico e attaccato al piacere dell'emozione ma attraverso l'emozione allargarsi in un abbraccio agli altri e alle cose che perda di vista "se stesso".
- La letteratura mistica documenta poi delle variabili imprevedibili e non riproducibili che irrompono durante lo stato di trascendenza dando al soggetto degli input di comprensione e di orientamento della volontà che sembrano non poter appartenere al soggetto (descritti a fatica e dichiarati impensabili o inimmaginabili fino a quel momento)[57].
Tutti questi elementi soggettivi descritti da chi vive l'esperienza di trascendenza corrispondono a precisi riscontri neurobiologici e permettono di escludere che si tratti di patologie di personalità, per cui si deduce che tale esperienza di trascendenza debba essere favorita e non evitata, al fine di sviluppare pienamente la personalità.
Come tutte le funzioni umane, naturalmente anche la funzione di trascendenza può andare incontro a "patologie" o disturbi, ma non può essere considerata sempre sinonimo di immaturità di personalità o deviazione patologica (come finora considerato dalla psicanalisi per esempio). Anche se la ritualità caratterizza alcuni stati patologici di personalità (stati ossessivi, fobici e compulsivi sia di natura nevrotica che psicotica, autismo)[58], con l'intento di sedare l'ansia o risolvere conflitti decisionali, non può essere considerata sinonimo di patologia. In generale la patologia storpia funzioni costitutive della persona, rappresentando la deviazione o la alterazione della fisiologia (corretto funzionamento) di una proprietà fisiologica e utile dell'organismo.
La funzione biologica del rito sarebbe quella di creare un contesto naturale favorevole a far vivere un'esperienza di trascendenza anche a chi non sia allenato da lunga pratica meditativa, a patto che il rito sia svolto in modo biologicamente significativo (ritmi giusti, atmosfera favorevole e nucleo di senso comprensibile).
In tutti i testi sacri viene dato molto spazio alla prescrizione minuziosa dei rituali di culto e spesso questi rituali (come nel caso della religione giudaica) vengono considerati di ispirazione o prescrizione divina. Non pertiene alla scienza entrare in questo merito, ma è lecito dire che chiunque abbia codificato i riti sembra conoscere perfettamente il funzionamento del cervello umano e abbia dettato le norme per sfruttare al meglio le potenzialità biologiche umane.
Riassumendo le funzioni del rito (escludendo quelle legate all'aspetto donativo o sacrificale verso la divinità, che non è stato preso in considerazione):
- permette al soggetto che partecipa al rito di vivere esperienza di trascendenza
- permette al soggetto che vi partecipa di vivere una "esperienza di verità"
- trasforma l'individuo dandogli una consapevolezza che riorienta l'intera esistenza rivelando un senso superiore
- tramanda una tradizione attraverso il ripetere gesti o celebrare racconti, in modo da far rivivere eventi del passato come fossero contemporanei e creare un vissuto 'storico' comune a tutti i partecipanti al rito (memoriale)
- rende presente una realtà invisibile e consacra aspetti dell'esistenza, dando loro particolare solennità e circondandoli di un'aurea protettiva e di benedizione
- crea un gruppo solidale e unito, motivandolo e orientandolo in modo preciso, infondendo una mentalità e ottenendo un'obbedienza o sudditanza verso i celebranti del rito (rappresentanti dell'origine del rito).
In tutte le religioni il rito esprime un'obbedienza al volere divino, è un atto di sottomissione e di adeguamento dell'umano al trascendente, un "farsi da parte" della dimensione umana per lasciare spazio alla divinità in chi partecipa al rito, per "ingraziarsi" la divinità e ottenere protezione dai pericoli. In alcune religioni il concetto di sottomissione attraverso la ritualità è particolarmente importante, come per esempio nella religione islamica[59]. In genere nelle grandi religioni il sottomettersi alla volontà di Dio attraverso l'obbedienza è vissuto come un cammino di liberazione dai condizionamenti delle passioni e dei limiti umani, perciò è considerato strumento di libertà e realizzazione piena dell'uomo[60]. In altri fenomeni, come quello delle sette o delle dittature politiche, la ritualità è strumento di plagio delle personalità e di asservimento[61].
In tutti i casi la partecipazione convinta ai riti diventa fonte di sicurezza contro i mali, di speranza e di sedazione dell'ansia che deriva all'uomo dalla precarietà dell'esistenza[62].
I RITI SONO TUTTI UGUALI?
Come si è appena visto, i riti hanno degli scopi che risultano uguali in tutti i riti, e alcune peculiarità che risultano differenti nei vari riti, per cui si può dire che non è indifferente il tipo di rito cui si partecipa. Inoltre nella vita di una persona non sono importanti soltanto le cose biologicamente rilevanti! Pertanto il punto di vista di questa disamina, che è quello della neurobiologia, è intrinsecamente parziale e pertanto discutibile. Tuttavia anche all'interno di questa parzialità si può affermare che se gli elementi che innescano una reazione neurale e quindi emotiva e poi comportamentale sono di due tipi (cioè la forma del rito e il nucleo di senso del rito), entrambi gli elementi condizionano il risultato.
Per quanto riguarda la forma del rito, diverso è il risultato a seconda della tipologia del rito. Per dare degli esempi di riti:
- rito militare (parata): solenne, cadenzato, in crescendo di ritmo, con musica fortemente ritmata ma che non deve coinvolgere in danze, dove il nucleo di senso è quasi secondario rispetto alla modalità di svolgimento che risulta adatta a catturare l'attenzione, dare solennità, suscitare ammirazione e ottenere consenso.
- rito civile (cerimonia): concepito per dare solennità ma anche per trasmettere messaggi attraverso discorsi, risulta adatto a costruire una solidarietà tra tutti coloro che ascoltano e una convergenza nell'agire e nel pensare.
- rito religioso: concepito per far fare esperienza di trascendenza, risulta più o meno solenne, incentrato su un nucleo di senso che si vuole trasmettere come "esperienza di verità" e su una modalità particolare che aiuta a entrare in contatto con la sfera del sacro. La modalità di esecuzione del rito è importante per ottenere l'esperienza di trascendenza, ma anche un rito partecipato in modo non corretto risulta comunque valido ed efficace (seppure in minor parte), perché si ritiene che la divinità attraverso il rito si avvicini agli uomini e quest'azione sovrumana non è modificata dall'imperfetta azione umana di chi officia il rito come sacerdote o partecipa al rito come adepto o fedele. Tuttavia le formule di consacrazione del rito devono essere pronunciate correttamente perché il rito sia valido.
- rito magico[63]: il rito magico ha lo scopo di evocare forze o entità per ottenere un deliberato scopo, si basa sulla conoscenza delle armonie delle forze esplicite ed occulte della natura e sulla capacità di governarle e utilizzarle per i propri scopi. La magia ritiene che qualora si riesca a pronunciare alcune sequenze di parole (formula) in modo che il suono risulti a ritmo giusto o timbro giusto o pronuncia esatta; oppure qualora si riesca a compiere dei gesti in modo da produrre il movimento giusto o qualora si riesca a indirizzare in modo efficace il pensiero, allora si avrà l'effetto sperato (come si leggeva nelle fiabe con la formula magica pronunciata da fate o streghe, o l'abracadabra dei maghi o "Apriti Sesamo" della fiaba di Alì Babà): il potere della parola o del gesto rende inevitabile la conseguenza perché sfrutta il potere segreto della parola o del gesto, quello che sa orientare le energie delle cose in un certo modo o che sa evocare spiriti obbligati ad obbedire (come i geni delle favole, si pensi al genio della Lampada di Aladino). Nel caso del rito magico perciò l'esattezza dell'esecuzione del rito è fondamentale e un rito mal eseguito non è valido e non sortisce effetto alcuno. Vi è un officiante il rito e le persone che hanno richiesto il rito che assistono o talvolta partecipano su precise regole dell'officiante il rito. Poi in genere vi è un soggetto bersaglio del rito, che può essere chi chiede il rito o anche essere del tutto ignaro dell'esecuzione del rito.
Per quanto riguarda il nucleo di senso, si prendono ora in considerazione tre diversi tipi di riti sacri: La Messa Cattolica, il rito esoterico (in generale) e il rito massonico
- Messa Cattolica[64]: si tratta di un rito a più valenze che permette a chiunque vi partecipi di beneficiare della Grazia che veicola, permettendo di rivivere l'immolazione e la Resurrezione di Cristo e di nutrirsi col il Suo Corpo e il Suo sangue. Ha in sé le caratteristiche del memoriale (rende contemporanei eventi lontani nel tempo, permettendo di riviverli), del sacrificio, della lode e ringraziamento e della supplica. Si ritiene che il vero officiante il rito sia la Divinità stessa, nella persona del sacerdote celebrante, Gesù stesso è la vittima offerta sull'altare ed è il sacerdote che purifica, raccoglie le preghiere e le eleva a Dio Padre, si offre come cibo e bevanda per nutrire le anime e condurle sui sentieri della Volontà divina. La forma del rito, consolidata nel tempo ma soggetta ad adattamenti nei secoli a seconda del mutare di sensibilità e di necessità, è adatta a permettere a chiunque partecipi di fare esperienza di Dio e di incontrare personalmente Dio (in tutte le altre religioni e rituali solo il sacerdote può incontrasi con Dio, mentre la gente può solo aspettare fuori: nella religione cristiana invece chiunque può incontrarsi e parlare con Dio sempre, ma nella Messa questo incontro è sacramentale, cioè tangibile e in qualche modo, oltreche per fede, sperimentabile coi sensi attraverso le musiche, le letture e i segni sacramentali del pane e del vino). La forma del rito è importante per mettere le persone in contatto col Mistero, il nucleo di senso trasmesso con le Letture sacre è fondamentale per aiutare le persone che assistono al rito a partecipare, ma si ritiene che la parte più importante la faccia Dio stesso, che scende sull'altare anche se il rito è formalmente imperfetto, e agisce anche se le persone non sono pienamente consapevoli, bastando la volontà orientata ad accoglierlo. La funzione del rito cattolico sembra prevalentemente quella di permettere di fare esperienza di Dio, aprire al Mistero, ma il frutto del rito va aldilà di quanto si può prevedere in base alla forma rituale, e si inserisce in uno stile di vita che non si esaurisce con la partecipazione al rito. Il rito trasforma chi vi partecipa nel senso che nel tempo, con l'iterazione, modifica la reattività dell'individuo e lo fa entrare nella mentalità cristiana, ma non si tratta di trasformazione magica come per i riti iniziatici esoterici, cioè l'individuo che partecipa al rito della Messa alla fine del rito è uguale a prima, ma durante il rito ha avuto la possibilità di entrare in relazione sensibile con Dio e questa relazione (come tutte le relazioni) è una possibilità di trasformazione se l'individuo liberamente accetta di farsi cambiare da questa relazione: il rito non ha potere magico sulla persona, semplicemente la predispone a percepire il Mistero, le offre opportunità di conversione ossia trasformazione. (Anche nel cristianesimo i riti dell'iniziazione, come il Battesimo, come tutti i riti inziatici, trasformano la persona introducendola in un flusso di Grazia divina che non richiede la consapevolezza dell'iniziato, tanto è vero che viene conferito ai neonati, e che è incancellabile, per sempre).
- rito massonico[65]: il rituale massonico, complesso, con valenze religiose ed elementi magici, sembra avere lo scopo principale di tenere desta la Tradizione e di permettere agli adepti di rivivere la storia di cui si ritiene depositaria e "tener vivo" l'atto di edificazione del Tempio, mediazione tra uomini e Dio[66]. Ciascun adepto, attraverso i riti, rivive in se stesso la storia dell'edificazione del Tempio di Salomone, si inserisce nel fil-rouge che percorre i secoli e abbraccia tutta la storia, perpetua e mantiene viva la stirpe dei costruttori del Tempio facendo diventare tale edificazione "contemporanea" in qualsiasi epoca, e fa memoria del proprio personale essere simbolicamente una pietra viva nell'edificazione del Tempio, laddove il Tempio di Salomone è raffigurazione dell'edificazione dell'umanità nuova riscattata dalla caduta, in cui ciascun essere umano è tempio di Dio e l'umanità nel suo complesso è il Tempio casa di Dio (umanità divinizzata). Perciò il rito trasforma colui che vi partecipa in un attore spiritualmente attivo nella trasformazione spirituale della storia e dell'umanità tutta. Vi è una componente magica nel ritenere di "condizionare" la storia con la propria elevazione spirituale, ossia di poter convogliare le energie del mondo in una certa voluta direzione di evoluzione spirituale del mondo. (Si dice poi vi sia una componente occultistica[67], ma non se ne trova traccia nei libri massonici pubblicati e accessibili ai non adepti).
- Rito esoterico[68]: il rito esoterico, basato sulla fede nell'esistenza di entità personali invisibili disposte ad interagire con gli uomini e basato sulla Conoscenza delle regole 'sottili' o 'nascoste' o 'segrete' che governano il mondo, ha in sé elementi di apertura alla dimensione del Mistero ed elementi magici: evoca Presenze, governa forze e accoglie il divino che attraverso il rito si manifesta. E' caratterizzato da formule, gesti e rituali (per la teosofia ad esempio comprende anche la Messa e riti sacramentali[69]) svolti o vissuti in una dimensione magica, per cui il rito deve essere svolto con perfezione formale oltrechè con grande consapevolezza interiore. Ciascuno strumento del rito in quest'ottica ha una sua intima ragione di essere così e non altrimenti e possiede un potere evocativo e non soltanto simbolico (per dare un esempio: le due candele poste sull'altare nella Messa esoterica devono esere rigorosamente di cera d'api perché si ritiene abbia una "vibrazione" adatta ad evocare gli Arcangeli Michele e Gabriele che rappresentano, mentre nel rito cattolico possono essere anche di paraffina e non hanno alcun potere evocativo, ma semplicemente simboleggiano la Luce e il calore della fede e della Carità). Si ritiene in questa prospettiva di potenziare l'effetto intrinseco del rito con la pregnanza evocativa della forma (evocativa nel senso che attira infallibilmente la Presenza degli angeli e di Dio stesso, diventando fulcro di irradiazione della Grazia divina per il mondo intero). E' il rito in se stesso che agisce su chi partecipa e lo trasforma. Nella preparazione alla partecipazione al rito, in cui si enfatizzano i significati simbolici e nascosti di ogni parte del rito, si ha una grande azione sull'emotività e la convinzione del soggetto che parteciperà al rito, persuadendolo che la partecipazione al rito lo trasformerà e dopo il rito sarà trasformato dal rito.
- Riti magici[70]: il discorso sulla magia richiederebbe discorso a parte, in quanto non agisce come gli altri riti sul rimodellamento della reattività della persona attraverso la ripetizione di stimoli adatti. Se ne accenna soltanto per il fatto che si denominano comunque "riti" e hanno tutte le caratteristiche appena viste del rito per coloro che li praticano, ma si discostano da tutto ciò che si è appena detto per gli effetti, che si sostiene accadano non solo a vantaggio di chi partecipa al rito o segue quel tipo di cammino spirituale, rendendo necessaria una spiegazione diversa da quella neurobiologica. Nei riti magici propriamente detti vengono convogliate delle forze sull'oggetto del rito, che può essere un oggetto (talismano, filtro oppure oggetto fatturato o incantato), un luogo, un evento o anche delle persone che indipendentemente dalla loro volontà subiranno gli effetti del rito: chi chiede questi effetti rivolgendosi all'officiante il rito non necessariamente deve conoscere le forze in gioco, che sono conosciute e manipolate dall'officiante il rito (mago, 'sacerdote' o medium a seconda delle situazioni). Questo vale per i rituali di alta magia (di qualsiasi tipo) e in parte per i rituali satanici, che non hanno mai valenza terapeutica o benefica in chi partecipa essendo intrinsecamente e volontariamente pervertiti[71].
CONCLUSIONE
L'argomento del rito è ampio e complesso, riguardando la struttura sociale dell'uomo dalla sua comparsa sulla terra. Nella varie civiltà e culture sono comparse varie modalità di rito, ma nessuna civiltà ne è priva. In generale la ritualità pone l'uomo a contatto con il sacro.
Il XX secolo del mondo industrializzato occidentale risulta piuttosto atipico nella storia dell'umanità perché sembra essere stato l'unico secolo in cui l'uomo ha tentato di sbarazzarsi del concetto di sacro e di abolire dalla vita quotidiana e dalla scienza la trascendenza. Tuttavia anche in questo secolo materialista, scientista, pragmatico, ateo non si è riusciti ad abolire la ritualità, che sembra davvero componente inalienabile della strutturazione umana. In effetti gli studi più avanzati di neurobiologia sembrano confermare che il costruire riti fa parte dei bisogni biologici dell'uomo, che attraverso di essi educa se stesso ai comportamenti fondanti della società e si apre alla irrrinunciabile componente di "mistero" della dimensione del sacro.
Non era scopo di questo lavoro esaurire il vasto e complesso argomento dei riti, ma solo fornire alcuni spunti forniti dalle neuroscienze per un approccio biologico alla materia (approccio che rappresenta soltanto uno dei tanti che possono essere tentati, e parziale in quanto trascura alcune componenti irrinunciabili del rito).
Dalla prospettiva neurobiologica si sono individuate due componenti essenziali perché il rito abbia effetti sulla reattività cerebrale umana: la componente formale e quella di contenuto.
Quella formale comprende la strutturazione cerimoniale di esecuzione del rito: atmosfera, luminosità, ritmo, musica, incensi, sequenza di azioni e modalità di partecipazione.
Quella di contenuto riguarda il nucleo di senso da cui parte il rito e la modalità di riviverlo, ottenendo che il rito sia un memoriale che perpetua una tradizione e consolida un'appartenenza.
Studiando i vari riti ci si rende conto che esiste anche una terza componente, basata sul fatto che chi partecipa crede nell'intervento durante il rito di forze o presenze trascendenti che agiscono nel rito e attraverso il rito: pertanto vi sarebbe una credenza trascendente che precede la partecipazione al rito e che accompagna l'esperienza di trascendenza innescata dal rito stesso, facendo prevedere effetti del rito che vanno aldilà di quanto ipotizzabile con il solo studio biologico della forma del rito e del nucleo di senso trasmesso durante il rito.
Osservando poi la struttura e il significato dei vari riti in dettaglio, si è ricavata la sensazione che il culto cristiano sia l'unico non intrinsecamente magico, in cui si conserva soltanto l'utilità funzionale del rito per modificare la reattività cerebrale e permettere all'uomo di vivere esperienza di trascendenza liberamente. Al contrario, negli altri tipi di ritualità sacra c'è una componente "magica" che agisce con modalità complesse non sempre riducibili alle conoscenze neurobiologiche sui meccanismi di induzione dell'esperienza soggettiva di trascendenza (azioni a distanza, suggestione, evocazioni di forse coercitive, forzatura di eventi, fenomeni cosiddetti paranormali, eccetera).
Nei prossimi capitoli si cercherà di riferire la scabrosa materia delle esperienze dei mistici, argomento estremamente difficile e a volte imbarazzante per un medico, perchè costringe a riferire fenomeni apparentemente del tutto soggettivi, che per essere correttamente interpretati necessitano di una prospettiva basata sulla fede che sembra per definizione non scientifica e che sarà una sfida tentare di esporre in modo rigoroso e obiettivo.
Inoltre tutto quanto riferito finora sulle suggestioni fornite dalla neurobiologia e dalla psicologia non sembra sufficiente a giustificare razionalmente il contenuto delle esperienze riferite dai mistici.
Dalla lettura dei resoconti dei mistici di varie culture si ricava l'impressione che la mistica cristiana sia peculiare rispetto a tutte le altre mistiche (sufica, induista, buddista, sciamanica, eccetera) per vari aspetti che non sembrano ritrovarsi nelle altre mistiche:
- viene vissuta anche da soggetti non iniziati a cammini di contemplazione, descrivendo fenomeni che solitamente possono aversi dopo lunghi allenamenti, sperimentati anche da bambini o soggetti non abituati alla meditazione[72].
- mostra una grande varietà di manifestazione e una grande varietà di espressione, mentre nelle altre culture sembra che raggiunto un certo grado di trascendenza l'esperienza vissuta sia piuttosto simile, se pur varia[73].
- Le esperienze della mistica cristiana sembrano dirette anche ad altri oltre a colui che le vive, uscendo dalla dimensione di appagamento individuale o soggettivo per entrare in quella dell'ammaestramento su un Cammino di evoluzione spirituale e di profezia che coinvolge molti individui o addirittura epoche intere, plasmando la sensibilità generale verso il contenuto dell'esperienza (per esempio alcuni veggenti descrivendo la Passione di Cristo hanno influenzato la sensibilità di generazioni di credenti, così come molte devozioni e preghiere sono state dettate da persone che sostengono di averle ricevute durante esperienze di trascendenza[74]).
- Infine, nonostante la vistosa diversità di temperamento, cultura, emotività, affettività e formazione che esiste tra i vari mistici cattolici nelle varie epoche, la personalità che si può dedurre dai loro racconti del Cristo o della Madonna (con cui sostengono in vario modo di incontrarsi) appare ben configurata e costante nei secoli, anche se talvolta diversa da quella trasmessa dalla tradizione cristiana di quel momento storico[75], rendendo difficile interpretarla in chiave di suggestione o frutto di cultura o immedesimazione, e rendendo lecito il dubbio che si tratti di penetrazione intuitiva di una realtà trascendente "reale"[76].
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APPENDICE: NEUROBIOLOGIA E TRASCENDENZA
Per comprendere meglio quanto si è detto sull'effetto dei riti a livello neurobiologico, si ripassano alcuni concetti fondamentali sulle modificazioni dell'attività cerebrale che caratterizzano l'esperienza di trascendenza.
L'esperienza di trascendenza (quale viene riferita dai mistici), che viene innescata da stimolazioni ripetitive quali i ritmi complessi e lenti dei riti della meditazione o della preghiera, è prodotta a livello corticale soprattutto dalle aree associative e dalla corteccia frontale (lobo limbico), attivate da circuiti sottocorticali (amigdala, ippocampo, ipotalamo e talamo) che attivano e regolano l'azione del sistema nervoso vegetativo. Nelle esperienze di trascendenza si hanno attivazioni inusuali del sistema vegetativo (contemporanea attivazione dei circuiti simpatici e parasimpatici, normalmente alternati) perché tali esperienze sono indotte da rituali, movimenti ripetuti, musiche adatte e altre stimolazioni finalizzate a modificare lo stato percettivo ed emotivo dell'organismo.
In pratica il sistema neurovegetativo connette l'organismo alla mente e viceversa, rendendo percepibile l'emotività. Il centro dell'elaborazione delle emozioni è il sistema limbico, per cui il sistema nervoso autonomo risulta molto collegato con il sistema limbico.
Amigdala, ipotalamo, ippocampo e talamo lavorano sinergicamente: tutti insieme producono le emozioni. L'amigdala attira l'attenzione su un evento emotivamente interessante presentandolo all'ipotalamo che attiva la reazione neurovegetativa all'evento, mentre l'ippocampo rallenta e regola la risposta.
Sembra che la mente umana attivi l'attenzione necessaria a registrare degli eventi solo se questi hanno il potere di suscitare un'emozione[77], pertanto questi centri deputati a innescare le reazioni emotive, a strutturarle e modularle sono particolarmente importanti.
Di sottofondo c'è una attitudine intrinseca del cervello ad analizzare la realtà cognitivamente per cercare di comprenderla: si tratta dell'insopprimibile attività della mente di pensare. Questo ineliminabile bisogno di organizzare il disordine in ordine può essere concepito alla base dello sviluppo evolutivo delle funzioni integrate del cervello che producono l'attività cognitiva, ed è stato chiamato da D'Aquili "imperativo cognitivo"[78], e da altri "aspirazione ontologica": consiste nella necessità di capire la natura fondamentale del mondo[79].
Da questo imperativo cognitivo, secondo gli studiosi, nasce nella storia dell'uomo il bisogno di inventare miti e di dare nome al mistero (mito ha in sé la radice di 'mistero' e non va confuso con la favola, bensì si tratta di una modalità per giustificare cose sconosciute e per spiegarle). La mitologia risale alla comparsa dell'uomo sulla terra, mostrando di essere un bisogno intrinseco dell'uomo fin dall'inizio[80]. Tutti i miti partono da un 'lampo di verità', una intuizione vissuta come 'sicuramente vera' ma non spiegabile del tutto razionalmente, per cui poi vengono costruite razionalmente delle spiegazioni e queste spiegazioni costituiscono i miti (che quindi conterrebbero all'origine una intuizione di verità)[81]. Dal punto di vista neurologico questo 'lampo di verità' si basa su una intuizione che deriva da uno stato di armonia particolare a livello cerebrale per cui le esperienze del lobo destro sono in sintonia perfetta con le spiegazioni che ne dà il lobo sinistro.
L'innesco del mito è un dato esperienziale, un dato percepito. In questa esperienza viene colto un qualcosa che intuitivamente rimanda a realtà ed esseri aldilà della sfera materiale.
Senza la predisposizione dell'organismo umano alla trascendenza non si avrebbe mitologia. All'inizio c'è un evento (vissuto o immaginato) che origina il mito. L'amigdala attira l'attenzione della mente sullo stimolo iniziale e quasi contemporaneamente attiva l'ipotalamo che prepara l'organismo alla reazione attraverso il sistema neurovegetativo.
Quell'attitudine di fondo della mente che è stata chiamata "imperativo cognitivo" impone un'analisi che conduca a una spiegazione plausibile dell'evento in corso. L'ippocampo mediante la consultazione della memoria di tutti gli stimoli simili suggerisce una spiegazione, e questa viene creduta vera. La reazione viene allestita su questa spiegazione, l'operatore causale del cervello ha favorito la sopravvivenza permettendo una reazione. La funzione di analisi binaria entra in azione lavorando su opposti e cerca di verificare la 'verità' proposta dall'operatore causale: 'È questo o non è questo?'[82]. In termini di sopravvivenza la risposta è cruciale perché se è quello che si è creduto la reazione è adeguata, ma se non lo è, è inadeguata e potrebbe essere fatalmente fuorviante: l'emisfero sinistro mette in campo le sue capacità analitiche e verbali e inizia a collegare lo stimolo iniziale ad altri dati accessori che possono confermare se si tratti oppure no della 'verità' suggerita dall'ippocampo. Inizia una rielaborazione logica, mnemonica, cognitiva che si muove su due alternative contrapposte: se è così, ne derivano alcune conseguenze, se non è così ne derivano altre.... L'emisfero sinistro, analitico, continua a passare da una alternativa all'altra; l'emisfero destro, che risolve le questioni in modo olistico, crea immagini e analizza la situazione emotiva delle due alternative e si fa guidare da questa per approdare a una conclusione definitiva che 'convinca' anche l'emisfero sinistro: quando accade, allora l'analisi logica e razionale del lobo sinistro acquista l'emotività suggerita dal destro e l'intuizione si conferma nella razionalità. Si potrebbe dire in modo figurato che a questo punto il lobo sinistro e il lobo destro hanno trovato un accordo e il dibattito cessa. La 'verità' sposata dalla mente ha la spiegazione logica e l'emozione che la fa diventare 'esperienza viscerale'. L'accordo perfetto tra i due emisferi fa l'effetto di un lampo di verità assoluta e diventa 'esperienza di verità': la visceralità di questa esperienza che dura una frazione di istante ma incide così fortemente sull'organismo liberandolo dall'ansia del buio, è all'origine dei miti[83].
Gli elementi comuni dell'esperienza di trascendenza (mistica) possono essere individuati nei seguenti[84]:
- perdita dei confini di sé e dei propri bisogni
- perdita del senso del tempo e dello spazio
- perdita della percezione di separatezza dalla realtà contemplata
- senso di comunione o fusione con una realtà più vasta, con il cosmo, con Dio o con l'Assoluto
- senso di appartenenza e partecipazione alla realtà intuita
- senso di beatitudine e appagamento estremo
- grande lucidità mentale (chiarezza interiore), intuizione di verità (illuminazione) e facilità a mantenere la concentrazione (assorbimento o flusso)
- chiara comprensione del senso delle cose e senso di certezza sulla verità delle cose intuite
- superamento della paura e senso di profonda fiducia nella bontà della realtà