La Biologia della Trascendenza
Beati i puri di cuore perché vedranno Dio.
(Mt, 5,8)
RIASSUNTO: in questo lavoro si analizza alla luce delle neuroscienze la beatitudine evangelica "beati i puri di cuore perché vedranno Dio" e si verifica se sia possibile "sperimentare Dio" e se sia necessario essere "puri di cuore" per riuscirvi. Si danno le basi biologiche dell'esperienza di trascendenza e dell'esperienza di appagamento erotico, delineando le somiglianze e le differenze. Si cerca di rendere l'idea di cosa significhi nella vita comune "vedere Dio".
SUMMARY: in this work evangelical Beatitude: "blessed are the clean in heart for they shall see God" is analyzed in light of the neuroscience. It's explored the possibilities of "experiencing God" and the need to be "clean in heart" to succeed. the biological basis of the experience of transcendence and the experience of erotic fulfillment are analyzed, outlining the similarities and differences, to give an idea of what it means in ordinary life "see God".
INTRODUZIONE
Le beatitudini evangeliche sono un capolavoro di sintesi e di Verità e ciascuna beatitudine descrive una diversa condizione dell'anima e promette un diverso risultato: in esse Gesù usa i vocaboli in modo molto preciso e attento, e rivela il "segreto del Regno", quali qualità occorra sviluppare, quali attitudini permanenti del cuore occorra coltivare per essere "figli di Dio" in pienezza, cioè assomigliare al Signore e realizzare il Regno di Dio; per ciascuno degli atteggiamenti caritatevoli proposti lascia intravvedere l'approdo. La beatitudine che consideriamo ora svela il segreto per vedere Dio: essere "puri di cuore".
Non è mia intenzione commentare questa beatitudine dal punto di vista esegetico o biblico, né filosofico, né antropologico. Essendo un medico desidero prendere in considerazione l'affermazione di Gesù dal punto di vista biologico, cioè da un punto di vista di solito non considerato parlando del Vangelo.
La beatitudine contiene due affermazioni da verificare dal punto di vista biologico:
1) si può davvero "vedere Dio"?
2) se sì, per vederlo è davvero necessario essere "puri di cuore"?
SI PUO' DAVVERO "VEDERE DIO"?
Negli ultimi decenni la scienza sta facendo dei reali e rapidi progressi verso la comprensione della "verità" sull'uomo e sta scoprendo in modo indubitabile che il dualismo corpo/psiche è estremamente riduttivo e che un organismo che funziona perfettamente non garantisce la felicità. Numerosi studi scientifici dimostrano che il cervello umano è stato strutturato non solo per soddisfare bisogni primari (appetiti, sonno, sesso, piacere, difesa), ma anche per appagare una intrinseca sete di trascendenza, di ricerca delle cause dei fenomeni e di significato esistenziale[1]. Poiché la scienza ritiene che in natura non vi sia nulla che non sia necessario o evolutivamente favorevole alla sopravvivenza della specie, ci si comincia a chiedere cosa abbia a che fare con la sopravvivenza della specie la trascendenza. Le risposte sono molteplici e interessanti: la trascendenza "compatta" l'individuo intorno a un 'nucleo di senso' che orienta in modo costruttivo l'intera esistenza, dando risorse per superare i momenti di sconforto e di crisi; inoltre aiuta a riunire gli individui intorno a un nucleo di valori condivisi e far sentire tutti gli individui solidali e uniti fra loro, riducendo l'aggressività e alimentando la solidarietà[2].
Lo studio attento dei racconti dei mistici che in ogni epoca e in ogni luogo sostengono di "vedere Dio" e "parlare con Lui" ha convinto un gruppo di neurologi onesti che in questi racconti vengono descritte esperienze "reali", percepite realmente da chi le vive, simili in tutti coloro che le hanno vissute indipendentemente dalle epoche, dalla cultura di appartenenza e persino dalla religione: induisti, buddisti, taoisti, ebrei, islamici, cristiani raccontano in modo differente delle esperienze sostanzialmente simili. Si potrebbero dare due spiegazioni diverse: o si conclude che esiste davvero la realtà trascendente che viene descritta dai mistici, oppure che il cervello umano, quando raggiunge un determinato stato di trascendenza registra le medesime sensazioni. In definitiva non è possibile, dal punto di vista biologico, determinare se la mente umana "costruisce" Dio oppure "percepisce" Dio; tuttavia sia in un caso che nell'altro si può affermare che il cervello umano è capace di provare beatitudine, estasi, rapimento e senso di comunione con l'Assoluto e con gli altri esseri creati, e che la persona umana può arrivare a sperimentare uno stato emotivo e di consapevolezza che descrive come 'sentirsi amata da Dio'. Tutti coloro che raggiungono un elevato stato di rapimento (e questo sembra non poter derivare solo da rituali ben applicati o da sforzo personale) riferiscono inoltre di aver sperimentato un elevato stato di lucidità e consapevolezza interiore, tali da rendere "certi" della realtà ultima delle cose, del senso del cosmo, del senso particolare di ciascuna cosa e della propria esistenza e che questo senso è di ordine, finalità, armonia, bontà e comunione supreme[3]. Chi ha vissuto uno di questi momenti ne serba per sempre un ricordo vividissimo e senza dubbi sulla realtà dell'esperienza vissuta, anche se risulta in tutti i casi difficile o impossibile renderne conto verbalmente con precisione e farne partecipi gli altri perché tale esperienza sembra non appartenere al codice spazio-temporale in cui viviamo, né far contemplare realtà paragonabili con la realtà che ci circonda[4]. Inoltre generalmente l'esperienza fatta diventa fonte di serenità e forza per tutta la vita.
Sembra che queste esperienze siano una risposta alla predisposizione biologica del cervello a viverle, un'esigenza biologica e non culturale.
Sono stati eseguiti numerosi studi rigorosi che hanno analizzato cosa accade nell'organismo e nel cervello quando si prega profondamente[5] o si medita[6] e cosa accade in un soggetto che sta vivendo uno stato d'estasi[7] e possono essere descritti ormai in dettaglio i circuiti cerebrali che vengono attivati e quelli invece che vengono bloccati durante l'esperienza di trascendenza[8], così come le variazioni del respiro, della frequenza cardiaca e del metabolismo[9].
Perciò la risposta alla prima domanda, dal punto di vista biologico, è affermativa: l'organismo umano è adatto a vivere questa esperienza che fa "vedere Dio".
Traducendo in termini ordinari il senso di "vedere Dio" si può dire che si tratta di una capacità di 'leggere' il senso profondo delle cose che si vivono, di 'vedere l'anima' di ciascuna cosa creata, intuirne lo scopo e collocare ogni evento 'al posto giusto', ordinando tutto ciò che ci accade, o che vediamo, o di cui veniamo a conoscenza, in un ordine di senso che fa percepire la reale Presenza di Dio come Provvidenza, Amore, Pazienza, Tenerezza, Pietà, Clemenza, Onnipotenza (e questi attributi della divinità non sono propri solo del cristianesimo, ma li troviamo anche nei poemi giudaici, islamici, sufici, induisti). Come traduceva il filosofo esistenzialista russo Nicolaj Berdjaev (1874-1948), la parola che definisce la seconda persona della Trinità e che noi traduciamo "il Verbo" ha anche il significato di "il Senso" ('O Lógos)[10].
Una grande studiosa anglicana di misticismo, Evelyn Underhill (1875-1941), definì il misticismo come "l'arte attraverso la quale l'uomo instaura una relazione conscia con l'Assoluto"[11]. Questo processo di "vedere Dio", o di stabilire una relazione conscia con l'Assoluto, non è un processo intellettivo o cognitivo, non vi si accede studiando, immaginando o applicando rigorosi ragionamenti di analisi della realtà. Come gli studi dei neurologi hanno ormai bene spiegato, vi partecipano tutte le aree cerebrali, a partire da quelle che definiamo più primitive (quelle che abbiamo in comune con gli animali), sede delle reazioni emotive e istintive, e solo in un secondo momento vengono coinvolti i centri della razionalità e della giustificazione logica di ciò che si sperimenta.
E' DAVVERO NECESSARIA LA PUREZZA DEL CUORE PER VEDERE DIO?
A questo punto occorre chiedersi cosa ostacola normalmente questa possibilità, dato che se il cervello sembra essere adatto a percepire Dio, tuttavia questa esperienza non è abituale, anzi, può essere con ragione considerata eccezionale.
Tutti i trattati di mistica sono concordi sulla necessità dell'ascesi per arrivare ai massimi gradi della trascendenza. Con ascesi (letteralmente "salita") si intendono vari cammini diversi, alcuni focalizzati su atteggiamenti passivi di distacco da sé, dai propri pensieri e dalle proprie emozioni mediante tecniche meditative; altri costituiti da concentrazione focalizzata su Dio mediante recita di preghiere o giaculatorie; altri costellati da atti di rinuncia attiva a se stessi rinunciando a ciò che fa piacere o che si pensa irrinunciabile (via della mortificazione); altri caratterizzati da attenzione volontaria ai bisogni degli altri per mettere i propri in secondo piano (via della compassione e della carità) o ancora cammini che comprendano tutti questi elementi insieme. Tutte queste vie hanno in comune il fine di portare chi le pratichi al "superamento di sé" e di promettere a chi le percorra il conseguimento della beatitudine e della gioia.
Molto si è detto e scritto sull'ascesi dal punto di vista morale, pedagogico, teologico.... Ora si cercherà di comprenderne la necessità dal punto di vista biologico.
Normalmente il mondo entra in noi attraverso la vista e l'udito e la percezione di ciò che è 'fuori di noi' attiva complessi circuiti cerebrali deputati a decifrare gli stimoli e strutturarli in esperienza. Fondamentali sembrano essere alcune aree cerebrali corticali localizzate nel lobo temporale, occipitale e nei lobi frontali, e dalle strutture sottocorticali che le collegano (talamo, gangli della base, ipotalamo, ippocampo, amigdala). Gli stimoli percepiti vengono memorizzati associati alla reazione emotiva che li ha contraddistinti, archiviati ed elaborati variamente[12]. La reazione emotiva si esprime soprattutto attraverso l'attività del sistema neurovegetativo (ortosimpatico e parasimpatico).
In particolare nello stato di vigilanza sembrano essere importanti le aree visive (particolarmente connesse con la coscienza di sé) e delle aree localizzate nei lobi frontali, parietali e temporali che determinano il grado della nostra attenzione oltre alla percezione della posizione del corpo e l'orientamento nello spazio ambientale. Durante l'esperienza di trascendenza (studiata in monaci buddisti durante la meditazione profonda e in monache cattoliche carmelitane o francescane in profonda preghiera) sono proprio queste aree dell'orientamento che sembrano disattivarsi, mentre si attivano quelle dell'attenzione[13], come se si chiudessero gli occhi e si perdessero le connotazioni spaziali del corpo e dell'ambiente esterno per raccogliersi in un mondo interiore in cui si può fare l'incontro con Dio[14].
Perciò un primo elemento che emerge è questo: normalmente è difficile percepire Dio perché si è distratti.
Le distrazioni sono di due tipi: quelle esterne a noi che catturano la nostra attenzione mantenendo attive le aree associative dell'attenzione e della connessione attiva con l'ambiente (che nella preghiera o nella meditazione dovrebbero disattivarsi); e quelle interne a noi che sono mosse dal desiderio di qualcosa di preciso, per cui si mantengono attive le aree dell'attenzione e quelle della programmazione degli eventi necessari per soddisfarlo.
I cammini ascetici, procurando il graduale distacco dai desideri e dalla curiosità, predispongono il soggetto ad entrare stabilmente in uno stato cerebrale di interiorità che sembra premessa indispensabile per "vedere Dio".
Una prima accezione di "purezza di cuore" è quindi quella di "distacco" intellettivo dall'ambiente e da se stessi: dalle passioni (intese come attaccamento emotivo persistente a qualcuno, a qualcosa o a qualche idea), dai desideri e anche dalle distrazioni (curiosità).
Oltre al concetto di attenzione al mondo e di percezione di sé che ostacolano il "vedere Dio" c'è anche quello di persistenza dell'attivazione del sistema neurovegetativo (asse emotivo).
L'emotività ha fondamentale importanza nell'espressione della vita mistica e sembra che senza integrità del "cervello emotivo" non possa aversi espressione della vita interiore né esperienza di trascendenza. Tuttavia l'emotività deve essere in certo modo "pulita" per non risultare di ostacolo al raggiungimento dello stadio profondo di trascendenza necessario per "sperimentare Dio". Infatti se è vero che il sistema neurovegetativo entra in gioco in modo importante all'inizio dell'attività di trascendenza, è altrettanto vero che il dilagare dell'attività neurovegetativa che innesca varie sequenze inibitorie a livello cerebrale sembra non poter essere una attività 'qualsiasi'. In altre parole, se siamo agitati per un pensiero preciso, o per un desiderio o per una pulsione, questa persistenza dell'attività neurovegetativa rende più difficile entrare in uno stato di coscienza di trascendenza.
Come secondo elemento di difficoltà ordinaria a percepire Dio si può dunque collocare l'emotività incontrollata.
Perciò in definitiva tutti gli esseri umani hanno la possibilità di "vedere Dio", ma pochi ci riescono perché la persistenza di desideri o ideazione, e dell'emotività incontrollata impediscono di raggiungere la quiete interiore e il rimodellamento dell'attività cerebrale necessari.
Un aspetto particolare dell'accezione di "purezza" è la castità volontaria nei soggetti che decidono di fare del "vedere Dio" una scelta di orientamento esistenziale.
Soprattutto nell'epoca odierna in cui viviamo, si considera l'attività sessuale come una attività imprescindibile per raggiungere la pienezza esistenziale, come mangiare o dormire, pertanto l'inibizione definitiva di questa attività è vista come una amputazione o una inibizione nociva per l'equilibrio della personalità. Questa convinzione risulta molto radicata, nonostante i numerosissimi esempi che la contraddicono: i monaci buddisti e induisti, i religiosi, i sacerdoti e tanti santi cristiani, così come personaggi che si considerano all'unanimità dei "grandi" (come Gandhi, per esempio) sono casti.
Molto si è scritto e detto su questo argomento, legando il voto di castità e l'imposizione del celibato sacerdotale a usanze rituali, interpretazioni della legge divina soggette alle epoche ecclesiastiche (e quindi rivedibili) o addirittura a una concezione negativa del corpo.
Ora si vedrà la questione dal punto di vista biologico.
Osservando il grande equilibrio di personalità e la sensazione di profonda serenità e forza che emanano personaggi casti come il Dalai Lama, il Papa, Madre Teresa di Calcutta (tanto per fare alcuni esempi) occorre riconoscere che il privarsi dell'attività sessuale in modo permanente non sembra amputare le personalità e tra questi personaggi e le figure di frustrati sessuali o 'forzati della castità' esiste un abisso che chiunque immediatamente avverte. La differenza tra coloro che per vari motivi subiscono l'astinenza sessuale (e vivono dunque una mancanza) e coloro che scelgono la castità come fonte di realizzazione spirituale (e vivono quindi una pienezza) sta proprio nella trascendenza che viene vissuta e sviluppata dai secondi e non dai primi.
La descrizione del grado di appagamento sperimentato in uno stato alterato di coscienza di tipo trascendente (meditazione profonda o preghiera contemplativa) può essere simile a quello sperimentato nell'innamoramento e nel climax sessuale. In effetti i circuiti nervosi utilizzati nella trascendenza sono gli stessi che consentono all'uomo di accoppiarsi e avere rapporti sessuali[15]. Si tratta di due stati simili e molto particolari: in entrambi gli stati si ha coesistenza di pulsioni emotive contrastanti, con iniziale senso di timore, paura inspiegabile, tensione emotiva (con manifestazioni neurovegetative) e nello stesso tempo attrazione irresistibile, gioia, esaltazione.... poi progressivamente l'emotività si placa in un senso di beatitudine e rapimento, perdita delle sensazioni corporee e del senso del tempo e dello spazio fino ad arrivare ad un godimento completo e a un profondo e reale senso di unione con il partner (o con l'Assoluto). Sia lo stato di trascendenza che il piacere sessuale (orgasmo) sono indotti da stimolazioni ripetitive e ritmiche e richiedono l'attivazione simultanea del sistema nervoso autonomo parasimpatico e ortosimpatico (questa doppia attivazione simultanea è particolare, normalmente si attiva l'uno oppure l'altro). Tuttavia anche se le vie neurali attraverso cui si manifestano la trascendenza e il piacere sessuale sono le stesse, e quindi la manifestazione di appagamento è simile, dal punto di vista neurologico sono esperienze profondamente diverse.
Il piacere sessuale è prodotto a livello sottocorticale, prevalentemente dall'ipotalamo (che fa parte del cervello primitivo, che hanno anche gli animali) e anche se risente di elaborazioni corticali e cognitive che lo rafforzano, deriva soprattutto da informazioni olfattive, tattili e fisiche.
Invece l'esperienza di trascendenza (quale viene riferita dai mistici), che viene innescata da stimolazioni ripetitive quali i ritmi complessi e lenti dei riti della meditazione o della preghiera, è prodotta a livello corticale soprattutto dalle aree associative e dalla corteccia frontale (lobo limbico).
I biologi sostengono che dal punto di vista evoluzionistico l'attività mistica è resa possibile dall'evoluzione dei meccanismi coinvolti nella risposta sessuale: l'uomo, essendo molto più evoluto degli altri animali filogeneticamente inferiori (come i primati), potrebbe sperimentare la trascendenza, mentre gli altri animali non possono viverla perché il loro cervello è meno evoluto. In definitiva la possibilità di sperimentare la trascendenza e vivere fenomeni mistici deriva all'uomo dall'affinamento dei meccanismi coinvolti nella reazione sessuale, solo che mentre nell'attività sessuale si attivano circuiti cerebrali più primitivi e istintivi, nell'attività mistica entrano in gioco circuiti più sofisticati e, se si passa il termine, "delicati".
Se ci si abitua a raggiungere questo stato di appagamento attraverso i circuiti istintuali, sarà meno probabile riuscire a raggiungerlo "trascendendoli".
Per fare un esempio banale: se si vuole apprezzare il frinire dei grilli in una sera d'estate occorre aprire le finestre, spegnere il televisore e poi tacere, in quanto i decibel dei grilli sono molto inferiori a quelli della televisione o della voce umana. Allo stesso modo se si vuole percepire qualcosa di cognitivo occorre fare tacere ciò che è più grossolano e si impone maggiormente all'attenzione e ai sensi.
In definitiva anche alla seconda domanda dal punto di vista biologico si dà risposta affermativa: per "vedere Dio" occorre essere "puri di cuore", cioè distaccati, padroni di sé e non confusi dalle sensazioni che arrivano dal corpo e dall'emotività: in una parola la purezza del cuore significa "essere liberi" dagli impedimenti legati alla propria condizione umana.
CONCLUSIONE
Come conclusione di questo breve spunto biologico desidero dare una suggestione che aiuti a comprendere per immagini la sostanza di quanto si è detto e di quanto enuncia la beatitudine evangelica esaminata: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio".
Si provi a pensare ad una superficie d'acqua all'aperto. Ci si concentri su una qualità dell'acqua: la capacità di riflettere il cielo sulla terra.
Si immagini una pozzanghera alla fine di un temporale d'estate: nella pozzanghera si riflette il cielo, il sole che riappare, le nuvole.... O si pensi ad un lago in lontananza, il cielo sembra abitare sulla terra e non si riesce neppure a capire dove sia l'orizzonte, dove finisca il cielo e dove inizi la terra....
Se l'acqua però è increspata dal vento, o piena di detriti, o di piante, allora non si riflette niente. Per riflettere il cielo deve essere quieta, immobile, pulita e sgombra.
"Riflettere il cielo" significa far abitare il cielo sulla terra, dentro di noi, specchiato dentro, visibile.
Significa anche impregnarsi di cielo e mostrarlo a chi guarda, perciò significa "vedere" e anche "far vedere", cioè testimoniare, rendere manifesto.
L'ascesi scava l'uomo e ne fa un calice vuoto che l'acqua dello Spirito può riempire fino all'orlo; lo riempirà nella misura in cui il calice è davvero vuoto. Quest'acqua pura riversata nel calice vuoto del cuore è la potenzialità di bene che si potrà riversare sugli altri e dalla quale si potrà attingere per dissetarsi, è quella che con linguaggio religioso si può chiamare la Grazia che si riceve da Dio. Ciascuno ha il compito di conservare quest'acqua pura e quieta, in modo che possa riflettere il Cielo da dove è stata versata. Anche su una pozzanghera di fango il Cielo si riflette, basta che l'acqua sia ferma. Invece in un calice di cristallo l'acqua brilla solo se è perfettamente pura.
Ciascuno riceve una qualità propria particolare, che si può chiamare vocazione particolare: chi a dissetare (e deve dar da bere acqua potabile e pulita) e chi a mostrare Dio (e deve essere acqua ferma, per poter riflettere il Cielo).
Tutto ciò che sporca o agita l'acqua vanifica la potenzialità che deve essere trasmessa e impedisce di vedere il Cielo sulla terra, cioè di "vedere Dio".
NOTE
[1] Per esempio si veda: Newberg A; D'Aquili E; Rause V: Dio nel cervello. La prova biologica della fede. Mondadori, Milano, 2002
- Larson DB; Swyers JP; McCullogh ME: Scientific Research on Spirituality and Health: A Consensus Report. National Institute of Healthcare Research, Rockville, Md., 1997
[2] Campbell J: Miti per vivere. Mondadori, Milano, 1995
[3] Austin JH: Selfless Insight: Zen and the Meditative Transformations of Consciousness. MIT Press, 2009
[4] Per esempio: Teresa d'Avila: Il Castello Interiore (trad. it. a cura di Luche L; Mogavero E). Sellerio, Palermo, 1999
[5] Per esempio: Beauregard M, Paquette V: Neural correlates of a mystical experience in Carmelite nuns. Neurosci Lett. 2006 Sep 25;405(3):186-90.
Beauregard M, Paquette V: EEG activity in Carmelite nuns during a mystical experience. Neurosci Lett. 2008 Oct 17;444(1):1-4.
Newberg A: God and the brain: The Physiology of Spiritual experience. Sound true, 2008